C'è un primo stadio dell'intensità della pioggia. Chi è sotto gli alberi beato sulla panchina non desiste da ciò che stava facendo, chi si bacia, chi conversa, chi si beve una birra. Il parchetto davanti all'ingresso del centro commerciale e alla fermata del tram è popolato da varia umanità. La pioggia non interferisce con il caldissimo pomeriggio di Magdeburgo. Nel secondo stadio la pioggia ha saturato la capacità delle fronde di trattenere l'acqua. Tutti devono pensare ad una soluzione. La mia era stata presa scendendo dall'auto, col cappellino impermeabile e l'ombrello famigliare. Applico la soluzione ma rapidamente diviene inutile. Aggiungo un generoso androne, oltre al quale uso l'ombrello davanti a me a modo di scudo aggiuntivo.
Quasi tutti corrono, direi inutilmente se entro 5 secondi non trovano un riparo, sembra un uragano. Giornale e borsetta sono palliativi, gli ombrelli vengono capovolti.
Ci sono i predestinati, quelli che scendono dal tram esposti a doccia ineluttabile (perché non proseguono la corsa non si sa). Ci sono i rassegnati, ormai marci. Si muovono guardando gli altri, nel loro inutile dibattersi e ostinarsi a ritirare l'acqua. C'è chi non vedeva l'ora: una ragazza in bicicletta con la maglietta bagnata aderente al corpo perfetto, gioca a fare surplace orientando il mezzo contro il vento, come una barca a vela. In realtà aspetta i compagni che sbarcano di corsa dal tram, degnandola di scarsa attenzione invero, a dispetto dello spettacolo del seno inzuppato tutt'altro che di poco conto.
Si accomoda nell'androne con me un tedesco di quelli ancora asciutti. Mi distoglie dai miei pensieri, di come sarebbe bello quel rombare, picchiettare, frusciare in altri luoghi. In un'auto in campagna, in una mansarda di agosto, in una una tenda ovunque. Cose di tempi passati, di rimpianti sotto la pioggia, du fantasmi temporaleschi.
Dopo un paio di minuti do il meglio del mio tedesco: -Tropicale!
Il tizio annuisce e bonfonchia qualche cosa annuendo con forza.
Visto il successo rilancio: -Brasile!
Grandissimo successo. Ora arriva un grosso arabo. Anche la sua tunica è tutta zuppa, ma non è interessante come la maglietta della ciclista. Inizia a parlare con il mio compare di androne, ma rimango interessato alle fughe o alle rese, o a chi si gode il momento sebbene avverso.
A Sopot in fondo al molo di 500 metri c'è un porto, tanto piacciono i porti e le navi ai polacchi. È tutto bianco: bandiere bianche garriscono alle sferzate del vento del Baltico, sulle panchine bianche i bambini in divisa bianca ridono e scherzano delle difficoltà degli adulti, le ragazze del nord dai lunghi capelli biondi trattengono il cappello a large falde e la gonna che non sempre mostrerebbe la traccia immacolata del costume. Soprattutto per questo ultimo spettacolo pago l'ingresso e mi reco ai tornelli (ecco questa è l'unica imperfezione della giornata). Una signora sorveglia l'ingresso, la saluto col trucco del bonfonchio, che è un saluto tipo rumore bianco (considerato il bianco del contesto), dove l'ampio spettro detto suoni generati contiene anche un -la ringrazio- in tutte le lingue del mondo. Superata la barriera vengo raggiunto alle spalle da sonoro -Arrivederci- con le vocali un po' allungate ma senza dubbio cordiale. Mi volto e vedo la signor...