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L'usciere di Milano

Prendo il treno con sentore di sciopero.
Non essendo più un vero pendolare, di quelli che prendono i treni, ho perso la sensibilità per comprendere la gravità della cosa. Per me la stazione è diventata estranea, non capisco come devo fare la coda alla biglietteria, dove andare ad obliterare. Non c’è più l’edicola per esempio, non c’è più la rastrelliera delle biciclette. O non so deve trovarla. Nono sono più un pendolare.

Mi sorprende passare da piazza fontana. E’ il destino di Milano, in cui qualunque luogo significativo scompare rapidamente alla memoria. E così Milano rimane una città solo per i Milanesi.
Devo ritirare il visto.
Inaspettatamente l’usciere mi assegna un numero della famigerata coda P. La coda P è quella che una settimana prima mi aveva fatto trascorrere 3 ore al consolato.
L’usciere, di bassa statura, si segna qualcosa su un foglio e mi congeda.
Vado a sedermi poco convinto e intimorito dalla lettera P. Il funzionario, mi aveva detto di ripassare, tranquillamente, dopo le 9. Io facendo così mi sono ribeccato un numero alto, casualmente lo stesso della volta precedente, il 10. Se non avesse detto quella cosa, io avrei preso il treno prima, per puntare ad una posizione vantaggiosa in quella che si era rivelata una coda immobile.

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