Un buon incassatore non si cura degli eventi e dei giudizi degli altri, e soprattutto non si cura delle botte ricevute.
L’ho conosciuto un anno fa, prima che il treno mastodontico prendesse velocità e raggiungesse la curva in fondo alla discesa. Giunto in fondo il treno deragliò rumorosamente e si infilò nel tunnel, come la palla in un canestro perfetto. L'aria uscì dalla stessa apertura in cui fece ingresso, e noi che a lato stavamo a guardare ci investì tutti, lui invece eroico nella carrozza di testa leggeva il giornale.
Incassatore come lui è solo il suo programmatore. Giovane, silenzioso, arruffato, ma con una barba perfettamente regolata. Anche lui, mai una risata, un caffè assieme. Una sfinge. Mi sono immaginato più volte di togliergli la sedia all’ultimo istante durante la sua seduta. Me lo vedevo con lo sguardo fisso innanzi a se, appoggiato nell’aria come sulla sedia mancante.
Parla poco, quando parla usa un marcatissimo accento campano, farfugliato e non sempre comprensibile.
Scrive codice con una discreta velocità. Bravo, abbastanza bravo, anche se non appare mai affidabile a causa di quel suo strano aspetto, a suo modo autistico.
- Guarda che dovresti togliere quel flag.
- Che? – stupito e corrucciato. – no.
- Si, è quel flag che non va.
- Che? – esattamente la stessa espressione precedente, pare essere tornati indietro con il rewind – no.
Non il punto esclamativo sul no. Perché è una negazione anodina. Il suo processo mentale non si svolge interagendo con l’esterno, è tutto svolto in sottofondo: fine dell’elaborazione. Exit: - no.
Loro due si siedono accanto. Si parlano per brevi istanti. Non si spiegano mai rumorosamente o appassionandosi ad una opinione ancorché professionale. Lui dice cosa fare, e l’altro: – no – oppure – va bene.
Si somigliano, separati nella culla. L’unica differenza è che quando passa una ragazza: il programmatore non recepisce l’evento. L’altro alza la testa, la guarda senza volgerle gli occhi addosso, così, un po’ di striscio, per essere sicuro di non doverne sostenere anche solo incidentalmente lo sguardo. Appena lei gli volge definitivamente le spalle allora: - E’ libera? – rivolto a me. Nel suo sguardo nessuna passione. Ma è chiaro che dietro il suo sguardo è proiettato qualche film. Che film? Che si immagina di fare o di dire a quelle ragazze?
Eppure lo vengono a cercare solo belle colleghe. Solo una ha per lui delle domande di lavoro. Le altre arrivano e scambiano qualche battuta. Anzi, nessuno scambio, loro monologano, lui grugnisce.
Io lo invidio, e quando rimaniamo soli gli dico: - Bella quella, simpatica quell’altra, ti fila questa, ci sei uscita con quest'altra? Lui risponde criticandole per il carattere, per la caviglia, per una storia sentita.
Non è ancora fuori dal tunnel, ma quando ne uscirà troverà sempre pronto il destino dell'incassatore pronto a colpirlo.
L’ho conosciuto un anno fa, prima che il treno mastodontico prendesse velocità e raggiungesse la curva in fondo alla discesa. Giunto in fondo il treno deragliò rumorosamente e si infilò nel tunnel, come la palla in un canestro perfetto. L'aria uscì dalla stessa apertura in cui fece ingresso, e noi che a lato stavamo a guardare ci investì tutti, lui invece eroico nella carrozza di testa leggeva il giornale.
Incassatore come lui è solo il suo programmatore. Giovane, silenzioso, arruffato, ma con una barba perfettamente regolata. Anche lui, mai una risata, un caffè assieme. Una sfinge. Mi sono immaginato più volte di togliergli la sedia all’ultimo istante durante la sua seduta. Me lo vedevo con lo sguardo fisso innanzi a se, appoggiato nell’aria come sulla sedia mancante.
Parla poco, quando parla usa un marcatissimo accento campano, farfugliato e non sempre comprensibile.
Scrive codice con una discreta velocità. Bravo, abbastanza bravo, anche se non appare mai affidabile a causa di quel suo strano aspetto, a suo modo autistico.
- Guarda che dovresti togliere quel flag.
- Che? – stupito e corrucciato. – no.
- Si, è quel flag che non va.
- Che? – esattamente la stessa espressione precedente, pare essere tornati indietro con il rewind – no.
Non il punto esclamativo sul no. Perché è una negazione anodina. Il suo processo mentale non si svolge interagendo con l’esterno, è tutto svolto in sottofondo: fine dell’elaborazione. Exit: - no.
Loro due si siedono accanto. Si parlano per brevi istanti. Non si spiegano mai rumorosamente o appassionandosi ad una opinione ancorché professionale. Lui dice cosa fare, e l’altro: – no – oppure – va bene.
Si somigliano, separati nella culla. L’unica differenza è che quando passa una ragazza: il programmatore non recepisce l’evento. L’altro alza la testa, la guarda senza volgerle gli occhi addosso, così, un po’ di striscio, per essere sicuro di non doverne sostenere anche solo incidentalmente lo sguardo. Appena lei gli volge definitivamente le spalle allora: - E’ libera? – rivolto a me. Nel suo sguardo nessuna passione. Ma è chiaro che dietro il suo sguardo è proiettato qualche film. Che film? Che si immagina di fare o di dire a quelle ragazze?
Eppure lo vengono a cercare solo belle colleghe. Solo una ha per lui delle domande di lavoro. Le altre arrivano e scambiano qualche battuta. Anzi, nessuno scambio, loro monologano, lui grugnisce.
Io lo invidio, e quando rimaniamo soli gli dico: - Bella quella, simpatica quell’altra, ti fila questa, ci sei uscita con quest'altra? Lui risponde criticandole per il carattere, per la caviglia, per una storia sentita.
Non è ancora fuori dal tunnel, ma quando ne uscirà troverà sempre pronto il destino dell'incassatore pronto a colpirlo.